«Il Mattino» 13 ottobre 1986 Montale, dica lei: la giusta distanza Luigi Compagnone
Illustre Eugenio Montale, è stato con antica emozione che venerdì ho letto sul «Corriere della sera» quattro di quelle sue poesie inedite, o segrete, che la signora Annalisa Cima ha fatto stampare in cento copie fuori commercio dall’«Officina Bodoni». Nel parlare della frequentazione avuta con lei, Annalisa Cima ha detto tra l’altro che «Montale insisteva affinché io gli dessi del tu, ma io continuai sempre a dargli del lei e credo che in fondo quel “lei” non gli dispiacesse: Montale amava tenere una certa distanza tra sé e gli altri».
A questo punto vorrei chiederle perché, secondo lei, tale salutare distanza vada sempre decadendo e perché ci diamo tutti del tu. Forse per adeguarci allo you anglosassone?
«Non mi pare. Non credo dipenda dall’irresistibile fascino che promana dal presidente Reagan e dalla signora Thatcher».
Dipende allora dalla TV?
«Certo, in televisione il tu è ormai una prammatica sanzione che affratella gli illustri e i meschini, i grandi e i piccoli, i divi e i comprimari, le stelle e le vallette, i demiurgi del teleschermo e il pubblico telefonante. Vi si respira un’aria casereccia, di salotto, di tinello, di cucina, un’aria che frantuma le distanze tra i cosiddetti grandi nomi e quelli il cui nome non fa storia. Insomma si è alla pari.»
È quindi il trionfo del Confidenziale e del Democratico?
«è il trionfo del Falso Confidenziale e del Falso Democratico, ossia della strategia che offre alle masse l’illusione di un ottimo rapporto tra i sùperi e gli inferi.»
Montale, le pongo un’attonita domanda il tu televisivo è una conquista derivata dal costume generale o è la TV che condiziona il costume?
«Le potrei dare una risposta rassicurante: è l’Italia che è cambiata ma le direi il falso».
Negli anni Trenta, l’Italia minacciava di cambiare col passaggio forzato dal lei al voi. Fra i tanti «Fogli di Disposizione» redatti personalmente da Sua Eccellenza Achille Starace, uno in data 19 agosto 1938 -XVII ammoniva seccamente «è assurdo e riprovevole che dopo quanto è stato detto e scritto, si stenti ancora ad adottare il voi e a respingere nettamente il lei che oltretutto è un’espressione di quello spirito servile ripudiato dal Fascismo nella maniera più recisa. I Segretari Federali li segnalino se nelle province qualche cosiddetta personalità, magari per darsi un tono, presumesse di offrire delle resistenze o di fare dello spirito…» Che ne pensa, Montale?
«Non m’induca a goffe malinconie»
Nello stesso tempo il Minculpop apriva un’inchiesta tra gli scrittori italiani: «Preferite il voi o il lei?»
«Sì, ricordo. Elio Vittorini rispose di preferire il tu. Non fu una risposta evasiva, in quei tempi, il tu significava molte cose».
E oggi che significa?
«Significa che, a furia di essere adoperato nel modo più indiscriminato, è stato svuotato di ogni significato»
Mi scusi la petulanza quando pensa che sia nato?
«Non lo so. Forse nel Sessantotto quando i professori dissero ai ragazzi di parlarsi con il tu. Ma non era ancora un tu consumistico.
Oggi i nostri ragazzoni danno del tu agli anziani. La ritiene una mancanza di rispetto?
«Io, se rispetto una persona, le do del lei»
Ma il tu non facilita i rapporti?
«No, perché è un nuovo conformismo»
Nell’ultimo romanzo di Michele Prisco «Specchio cieco» un personaggio dice ad un altro che ha appena conosciuto «Perché non ci diamo del tu?» E l’altro gli risponde «Ma certamente, dato che non ci conosciamo abbastanza da darci del lei».
È d’accordo con Prisco?
«D’accordissimo con Prisco»
Torniamo agli anziani. Molti di loro esigono il tu dai giovani e i giovani viceversa. E il rispetto per i capelli bianchi?
«Tra le sciagure della civiltà di massa, come ha ben scritto Elemire Zolla, c’è l’abolizione della differenza tra gioventù e vecchiaia. Lei capisce: il tu dà l’esaltazione della giovinezza, nel miserabile tentativo di offrire a tutti il lustro della gagliardia e la cera raggiante: la offre perfino ai cadaveri negli Stati Uniti, quando vengono esposti nelle Funeral Homes»
Ma allora il tu non è un simbolo da accettare in positivo.
«Proprio no: perché se ne fa un uso troppo facile e volgare e provo di qualunque sacralità.»