«La voce della provincia» 27 settembre 1985 Una vita per la cultura Federico Orsini
Il premio Fiuggi ti è stato assegnato per il complesso della tua opera di narratore. Quanta parte di Torre c’è in questo successo?
«Quanta parte di Torre?…Direi la mia vita. La motivazione del Premio Fiuggi è «una vita per la cultura». Io ho cominciato da Torre, da qui sono poi andato via, ma sono legato alla mia città. Direi che comunque Torre intesa nel senso più largo, non vorrei dire ancora una volta di “Provincia addormentata” (titolo del mio primo libro), ma di mondo di provincia sociale, è stata al centro dei miei interessi. Sotto questo aspetto, credo di essere stato un narratore molto coerente e molto fedele ai suoi temi iniziali».
Che cosa è lo «specchio cieco» e come collochi quest’ultimo libro nel tuo iter artistico?
«Letteralmente lo ” specchio cieco” e quello che non rimanda le immagini che vi si riflettono. Metaforicamente e simbolicamente vuol significare la difficoltà, se non proprio l’impossibilità, oggi per un narratore di rappresentare la vita attraverso la letteratura, di poter fermare sulla pagina la vita che è così fluida, contraddittoria e contrastante. Quale posto gli darei nella mia produzione? È il mio dodicesimo libro, nasce tutto sommato dagli altri, dai precedenti, anche se offre un’apertura nuova. Intanto nel personaggio della protagonista, Margherita Attanasio, ho cercato di presentare un tipo nuovo di donna quale oggi va emergendo nella società del Sud, consapevole dei propri diritti e decisa ad affermarlo. Questo sia detto senza una punta di femminismo che non c’è nel libro. E poi questa volta a raccontare la storia di Margherita è uno scrittore in crisi, che non è un personaggio autobiografico, ma che comunque mi ha dato la possibilità di giostrare su due piani narrativi».
Potresti fare un bilancio della tua vita di scrittore da “la provincia addormentata” allo “specchio cieco”?
«I bilanci sono malinconici e poi sono anche difficili soprattutto nel caso di uno scrittore che dovrebbe farsi critico di se stesso. Considerando “la provincia addormentata” che è del 49 per arrivare a “specchio cieco” che è del novembre 84 (12 libri in 36 anni di attività), credo di essere rimasto fedele ai miei temi che ho cercato di approfondire di volta in volta. Soprattutto direi che sono stato fedele ad un tipo di narrativa, di letteratura e ad una immagine di scrittore che ha cercato sempre virgola e fortunatamente c’è riuscito, di fare a meno delle mode, delle parole d’ordine estetico del momento, delle imposizioni. Questa ritengo sia una mia connotazione umana prima ancora che letteraria».
A quale dei tuoi romanzi sei più affezionato?
«Difficile dirlo, sai i libri sono i figli di carta per un autore. Sino a qualche anno addietro le mie simpatie andavano a “figli difficili” perché lì c’è il ritratto di una generazione che è stata la mia, cioè quella dei giovani che avevano vent’anni al momento della guerra. “I cieli della sera” è un libro al quale sono molto legato anche perché mi sembra che meglio riesca a fondere mondo intenzionale e mondo espressivo. Naturalmente c’è quest’ultimo che è un libro particolare perché è stato attraversato da una vicenda mia, molto intima, personale ed è venuto fuori virgola dopo una lunga interruzione, con molto dolore direi da parte mia. Non perché sia l’ultimo ma appunto perché è stato il più sofferto, è forse quello che amo di più».
Veniamo al premio Oplonti, siamo alla quarta edizione, se dovessimo fare un bilancio?
«Mi sembra assolutamente positivo nel senso che questo “piccolo” premio, che nasce da un circolo privato con una “piccola” giuria cioè una giuria molto ristretta, si è subito creato un suo spazio. Premi in Italia veramente sono tanti ma l’Oplonti ha questa caratteristica: premia uno scrittore per il complesso della sua carriera (Oplonti d’oro) ed un’altro all’opera prima (Oplonti d’argento). In questo accostamento di un autore della maturità ad uno degli esordi questo premio non solo esprime la sua fiducia direi nella narrativa italiana, ma ha anche una struttura tale che gli consente di attribuire i riconoscimenti con assoluta serenità, per chi non si concorre, non si partecipa e quindi la giuria opera in perfetta libertà di giudizio»
C’è però qualche critica da più parti sul mancato rinnovamento del premio Oplonti, nell’organizzazione e soprattutto nella giuria che è sempre la stessa.
«Così come hai strutturato il premio si potrebbe allargare o cambiare ma direi che appunto la composizione di una giuria ristretta consente una maggiore autonomia ed una maggiore libertà di scelta. Quanto all’organizzazione, io vengo qui direi al momento della premiazione, tutto è molto bello: ci sono le luci le toilettes, tantissimi fiori, il pubblico ed è per tutto ciò che io forse vedo solo gli aspetti positivi di questa manifestazione».
Che cosa ci stai preparando?
«Niente. Quando esco dalla stesura di un libro mi ci vuole un anno per riprendermi. L’ultimo però è stato un libro particolare per cui forse la ripresa sarà più lenta».
